Chi non ama quel genere di film che ti trasporta in un mondo parallelo? Quel tipo di pellicola che ti strappa dalla realtà quotidiana, cancellando ogni preoccupazione e immergendoti in un universo dove ogni distrazione esterna svanisce nel nulla. Sono pochi i film che riescono ad ottenere questo effetto con la stessa delicatezza di Zamora. È una storia che culla il suo pubblico. È un film capace di avvolgere gli spettatori in una calda coperta di velluto e di guidarli attraverso un universo tanto reale quanto etereo, popolato da personaggi autentici, con tutti i loro pregi e difetti. È un mondo dove la frenesia della Milano degli anni Sessanta ritrova il suo ordine naturale, dove ogni elemento ha il suo posto ben definito. Questo è Zamora, il film che segna il debutto alla regia di Neri Marcorè. Uscito nelle sale italiane il 4 aprile 2024, la pellicola si basa sul libro omonimo di Roberto Perrone. In questo articolo, esploreremo più da vicino di cosa si tratta e condividerò con voi le mie impressioni.
Di cosa parla?
Siamo negli anni Sessanta a Vigevano. Walter Vismara è un contabile trentenne che lavora in una piccola fabbrica del paese. Quando si vede costretto ad accettare una nuova offerta di lavoro, si trasferisce a Milano, dove viene accolto dalla sorella. Sotto la supervisione del nuovo capo, il Cavalier Tosetto, ossessionato dal mondo del calcio, Walter è obbligato a sfidarsi in una partita una volta a settimana con i suoi colleghi, suddivisi nella squadra degli scapoli e degli sposati.
Non essendo un grande appassionato di calcio, Walter decide di assumere il ruolo di portiere, nonostante le scarse capacità. Proprio per questo, viene preso di mira dall’ingegner Gusperti, il quale lo soprannomina sarcasticamente ‘Zamora’, in riferimento a un celebre portiere spagnolo degli anni Trenta.
Tra intrighi amorosi, tensioni lavorative e continue sfide, Walter deve riuscire a navigare la città di Milano, fino ad allora sconosciuta per lui, mettendo a punto un piano per vendicarsi di Gusperti.
Cosa ne penso?
Come già accennato in precedenza, Zamora rappresenta il primo passo di Neri Marcorè dietro la macchina da presa. Viene introdotto così un nuovo capitolo nella già ricca carriera di questo versatile artista italiano, celebrato per le sue molteplici abilità nel mondo dello spettacolo. Conosciuto per le brillanti interpretazioni, l'abilità nell'imitazione, la voce iconica nel doppiaggio, così come per le incursioni televisive e radiofoniche, Marcorè si cimenta ora nella regia con un'impronta tutta sua.
D'altronde, la storia di Walter non è forse molto simile a quella di Neri? Lasciando Porto Sant’Elpidio, anche lui si è ritrovato a far fronte a tutte le sfide di chi si trasferisce in una grande città, che nel suo caso è Bologna. Infatti, ritroviamo nel protagonista di Zamora la parte disorientata, intimorita e anche curiosa che il regista ha vissuto nei suoi primi anni lontano dal suo paese. Questa realtà, fortemente sentita da Neri, si rispecchia nella storia, rendendola più realistica, genuina e carica emotivamente, senza mai scadere nel cliché. È chiaro dalla primissima inquadratura che la storia ha un valore emotivo molto forte per il regista, come se lui stesso fosse coinvolto in prima persona. E probabilmente, un fondo di verità in questo c’è.
Uno degli aspetti più straordinari di Zamora è l'ambientazione. La storia si svolge nella Milano degli anni Sessanta, con una ricostruzione fedele e realistica che, al contempo, si trasforma nell'atmosfera magica propria del cinema. Le auto d'epoca, i teatri, gli edifici, persino il Duomo quasi deserto di sera, insieme agli abiti di quei tempi, compongono un set che si rivela un universo delicato, leggero e profondo. La città stessa diventa parte di una sinfonia urbana, in cui la luce assume le sembianze di un personaggio fondamentale della narrazione.
È l'illuminazione a determinare il tono delle scene, conferendogli un'aura più o meno drammatica, rilassante, frustrante, divertente o romantica. Il predominio della luce gialla conferisce al film un calore avvolgente che coinvolge lo spettatore. Le scene notturne, immerse in tonalità scure, amplificano l'atmosfera spaventosa della metropoli, in sintonia con le prime sensazioni di Walter. Al contrario, le scene bagnate dalla luce solare trasmettono la pace e la serenità di una tranquilla domenica mattina in provincia, ricreando l'atmosfera di un luogo come Vigevano.
L'illuminazione viene sfruttata con grande creatività anche nella tecnica di ripresa. La luce diventa quasi una sfumatura sulla tavolozza di un pittore, trasformando radicalmente l'immagine percepita dal pubblico. In particolare, nelle riprese in macchina, i fari delle auto e le luci dei lampioni si riflettono sui finestrini e sugli specchietti. Creano giochi di luce in continuo movimento e offrono uno spettacolo visivo sempre nuovo e coinvolgente.
La colonna sonora rappresenta un altro elemento cruciale, capace di trasportare il pubblico nel mondo che il film cerca di creare. È forse l'aspetto più memorabile e in grado di rendere l'ambientazione coinvolgente e autentica. Anche in questo caso, Zamora si distingue.
Le canzoni selezionate riportano immediatamente al periodo in cui è ambientata la storia, ma il ruolo del sonoro va oltre. Analogamente alla luce, anche i suoni scelti per ogni scena hanno il potere di evocare emozioni specifiche, rendendo un frammento più triste, allegro o persino sarcastico. Accade, ad esempio, in una delle scene più significative del film.
Dopo la scoperta di un grande tradimento, la musica si intensifica, assumendo toni così drammatici da sembrare quasi ironici sull'assurdità della situazione. Offre un'interpretazione del tutto nuova a un elemento narrativo ripreso innumerevoli volte, sia nel cinema che nella letteratura.
Ovviamente, sarebbe impossibile valutare un film senza considerare l’impatto del montaggio. È proprio la connessione tra le scene, l'alternanza di immagini e la loro successione a dettare il ritmo e la credibilità degli eventi narrati.
Anche in questo caso, Zamora spicca per la sua coerenza nel montaggio, mantenendo una fluidità che si adatta al tono delle singole scene. Se le sequenze delle partite di calcio e alcune situazioni in ufficio sono dinamiche e frenetiche, le scene più intime, romantiche e sentimentali rallentano il ritmo della narrazione, invitando gli spettatori a immergersi nei pensieri del protagonista.
Inoltre, le riprese più lente e meditative riescono a rivelare sottigliezze che altrimenti potrebbero sfuggire. Espressioni facciali sottili, primi piani di oggetti significativi e pause nelle parole non dette hanno un impatto emotivo più profondo di qualsiasi monologo, aggiungendo profondità e complessità alla storia stessa.
Un altro aspetto che mi ha sorpreso del film è la trama. Nella sua semplicità e linearità, riesce comunque a far risaltare la naturalezza dello scorrere degli eventi, che si dipanano in una sequenza del tutto comprensibile e non forzata. Le motivazioni del protagonista per migliorarsi sono chiare, i suoi obiettivi definiti e i suoi difetti lo rendono umano. Risulta, così, più facile per il pubblico immedesimarsi in lui. Anche la storia d'amore, che potrebbe sembrare simile ad altre nel suo genere, riesce comunque a rimanere impressa nella memoria degli spettatori.
Tutto questo è possibile, chiaramente, grazie a un ottimo lavoro nel casting e agli attori capaci di adattarsi alla situazione rappresentata e al tono emotivo che ne consegue. Lo stesso personaggio può farci ridere, farci sentire impotenti, farci provare orgoglio e farci versare qualche lacrima. La chimica tra gli attori sullo schermo è palpabile. In particolare, mi hanno colpito le scene condivise tra Alberto Paradossi (Walter) e Marta Gastini (Ada). Quest’ultima, infatti, ha saputo conferire al ruolo classico della donna come semplice oggetto di desiderio maschile uno spessore maggiore, rendendola indipendente, libera di prendere le proprie decisioni e di mantenere il controllo della propria vita. Le scene tra i due presentano una maturità e una purezza che spesso mancano nei passaggi romantici per favorire la spettacolarità. Entrabi i personaggi, nelle conversazioni, si trovano sullo stesso livello intellettuale e questo rende le loro interazioni particolarmente intriganti.
Anche i ruoli secondari di questo film hanno quasi lo stesso spessore dei protagonisti. È il caso, ad esempio, della famiglia di Walter. Pur essendo incentrata sui tentativi dell'uomo di vendicarsi e migliorare se stesso, la storia lascia spazio anche ai personaggi secondari di crescere, svilupparsi e di esplorare le proprie credenze, i propri limiti e i propri pregi. Ed è così che la storia si espande, mostrando la forte indipendenza della sorella, le convinzioni del padre, l’affetto della madre e anche le sofferenze dello stesso Giorgio Cavazzoni.
Inoltre, i lavoratori dell’ufficio hanno delle storie e delle situazioni psicologiche particolari che, grazie all'abile sceneggiatura, riusciamo a cogliere anche solo attraverso brevi frammenti, che però, insieme, vanno a costituire un ecosistema più vasto, creando un ambiente vivo, organico e dinamico. Il tipico habitat di un ufficio milanese negli anni Sessanta viene rappresentato in maniera così vivida e pulsante che quasi sembra diventare esso stesso un personaggio.
Per quanto riguarda il finale, non potrei essere più soddisfatta. Lontana da qualsiasi cliché, la storia si conclude nel modo più giusto per tutti i personaggi, portando a termine i loro archi narrativi e facendoli evolvere come persone. In questo modo, le difficoltà di Giorgio hanno un senso, i limiti di Walter vengono superati e Ada ottiene la libertà tanto desiderata. La risoluzione di certi archi narrativi non è soltanto logica e comprensibile, ma anche sorprendente, riuscendo a sfuggire a qualsiasi previsione immaginata dagli spettatori.
Conclusione
Se dovessi descrivere il film in una parola sola, sceglierei ‘delicatezza’. È la delicatezza con cui ci trasporta in un universo ormai lontano da noi, la delicatezza nel rappresentare l’ambiente movimentato di un ufficio milanese, la delicatezza di un amore che sta per nascere e la delicatezza con cui ogni relazione, ogni interazione e ogni tema viene trattato.
L’attenzione al dettaglio si fa sentire in qualsiasi scena, così come il lavoro e la carica emotiva che il regista ha investito nel progetto. Una parte dell’anima di Neri Marcorè è racchiusa dietro ogni immagine e solo guardando il film, immergendosi nella storia e immedesimandosi nei personaggi riusciamo a cogliere l’impegno, la dedizione e la passione che hanno portato a questo risultato.
Ed è così che, una volta riemersi dalla visione di Zamora, il nostro cuore si sente un po’ più pieno.